Cambiamenti climatici: la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera

L’anidride carbonica ha un impatto sempre più significativo sull’atmosfera terrestre, esercitando una notevole influenza sui cambiamenti climatici in corso. Ciò comporta rischi importanti da molti punti di vista: per la sicurezza umana, per le specie animali e per gli ecosistemi globali. È inevitabile cercare di affrontare con la massima urgenza possibile tale emergenza, tramite soluzioni sostenibili: serve pertanto un impegno globale che consenta di mitigare l’incremento della concentrazione di anidride carbonica, affinché il nostro pianeta possa essere preservato e tutelato per le generazioni che verranno. Strumenti come i sensori di CO2, che permettono di monitorare la quantità di anidride carbonica, si rivelano alleati essenziali in tal senso.

Perché l’anidride carbonica si sta accumulando nell’atmosfera

L’accumulo di anidride carbonica nell’atmosfera è un fenomeno che ha preso il via con l’inizio della rivoluzione industriale, a partire dalla seconda metà del Settecento.

Da allora, infatti, la combustione di gas, di petrolio e di carbone in quantità crescenti ha innescato un trend che si è amplificato anche a causa della trasformazione di utilizzo del territorio che ha comportato la distruzione delle foreste e la moltiplicazione di stabilimenti industriali. se è vero che anche altri gas sono responsabili del cambiamento climatico – si pensi, per esempio, al biossido di azoto e al metano – è sull’anidride carbonica che occorre puntare il dito per avviare una pianificazione accurata di una strategia di contenimento.

Se all’inizio della rivoluzione industriale la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera era inferiore del 30% rispetto a quella attuale, è evidente che il problema esiste e deve essere risolto nel più breve tempo possibile.

I gas serra

Se le emissioni di gas serra dovessero continuare secondo i ritmi attuali, fra il 2030 e il 2052 il nostro pianeta oltrepasserebbe la soglia di 1 grado e mezzo di riscaldamento. Nel caso in cui il riscaldamento dovesse essere ancora più elevato, si innescherebbero scenari climatici che gli scienziati non sono neppure in grado di ipotizzare.

Il problema è che a un aumento della temperatura si accompagnano devastanti feedback positivi, cioè effetti retroattivi. Uno di questi è noto a tutti, e riguarda lo scioglimento dei ghiacciai ai poli: un fenomeno che porta a una riduzione della superficie terrestre grazie a cui il calore del sole viene riflesso oltre l’atmosfera.

Se il vortice polare perde di vitalità, il caos climatico rischia di diventare irreversibile, con lo scioglimento del permafrost che può portare al rilascio di masse di metano molto consistenti.

Che cosa si può fare?

Esistono dunque delle strategie da adottare per stabilizzare il clima? È necessario prima di tutto far sì che entro il 2030 le emissioni di gas serra vengano dimezzate, per poi azzerarle del tutto prima del 2050. In termini pratici, ogni anno dovremmo tagliare più di un miliardo di tonnellate di emissioni di gas serra: un traguardo che può essere raggiunto solo con l’aiuto delle fonti rinnovabili.

Nei prossimi 30 anni, non più di un quinto della domanda globale di energia elettrica dovrà essere soddisfatta da fonti non rinnovabili: si dovrà puntare sulle biomasse, sul solare e sull’eolico, mentre gli ecosistemi naturali dovranno essere protetti perché possano essere in grado di assorbire l’anidride carbonica.

L’emergenza è reale e il tempo a disposizione è poco: è indispensabile agire immediatamente, visto che parecchi cambiamenti potranno esercitare un impatto globale aggregato solo a distanza di decenni.

Le prospettive per il futuro

Non si può negare che negli anni più recenti si è ridotto l’utilizzo del carbone, ma non si possono fare previsioni certe per l’avvenire. Purtroppo l’energia ricavata da fonti di combustibili fossili è ancora maggiore rispetto a quella che si ottiene con fonti a basse emissioni di carbonio. La decarbonizzazione è un processo che continua a macchia di leopardo.

Ricordiamo gli obiettivi fissati dagli accordi di Parigi:

  • Obiettivi di riduzione delle emissioni (NDC): presentati ogni 5 anni da ogni Paese, devono essere chiari, comprensibili, quantificabili e sempre più ambiziosi rispetto ai precedenti.
  • Vincoli: solo l’attuazione delle misure nazionali, la rendicontazione e la verifica internazionale sono vincolanti, non il raggiungimento degli obiettivi.
  • Emissioni all’estero: ammesse se rispettose dell’ambiente, contribuiscono allo sviluppo sostenibile e senza doppi conteggi. Due tipi ammessi: da meccanismo dell’Accordo di Parigi (art. 6.4) e da accordi bilaterali/multilaterali (art. 6.2).
  • Distinzione Paesi: ridotta tra industrializzati e in via di sviluppo. Paesi più poveri con maggiore discrezionalità, industrializzati con obiettivi di riduzione assoluti, in via di sviluppo verso obiettivi sull’insieme dell’economia.
  • Adattamento: tutti i Paesi devono elaborare e aggiornare strategie di adattamento, con rapporti periodici. Meccanismi di prevenzione e riduzione delle perdite e danni rafforzati, senza responsabilità o compensazione.
  • Finanziamento climatico: nessun nuovo obbligo. Paesi industrializzati continuano a sostenere quelli in via di sviluppo. Obiettivo di mobilizzare 100 miliardi di dollari all’anno confermato fino al 2025, con un nuovo obiettivo analogo per il periodo successivo. Rapporti biennali sui fondi mobilizzati richiesti ai Paesi industrializzati e in via di sviluppo.

Gas a effetto serra: che cosa vuol dire

L’anidride carbonica è già presente nell’atmosfera, ma ad essa si aggiunge quella che deriva dalle attività umane.

La CO2 costituisce uno dei gas a effetto serra, che sono stati ribattezzati in questo modo proprio perché agiscono come il vetro delle serre: il calore del sole viene imprigionato e non si può disperdere nello spazio. È questo il motivo per il quale si innesca il riscaldamento globale.

A causa dell’effetto serra, la temperatura della superficie terrestre aumenta, e ciò innesca anche una maggiore frequenza di eventi meteorologici considerati estremi, quali precipitazioni intense – causa di allagamenti – e ondate di calore. L’anidride carbonica è uno dei gas serra che sono stati inseriti nel Protocollo di Kyoto e nell’Accordo di Parigi, insieme con l’ossido nitroso, il metano, gli idrofluorocarburi, il trifluoruro di azoto, l’esafluoruro di zolfo e i perfluorocarburi.

Ciascuno di questi gas serra ha un impatto evidente sul riscaldamento globale: è per questo motivo che risulta indispensabile limitare la loro emissione e ridurre l’inquinamento dell’atmosfera. Solo così si può salvare il pianeta.

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