Tra le specie animali in serio pericolo ormai ci sono anche le api. Il fenomeno della moria di questo insetto ormai va avanti da circa dieci anni e gli studiosi sono concordi, sempre più, nel ritenere che la causa della moria delle api dipenda dall’uso estensivo di pesticidi in agricoltura. In particolare di quelli appartenenti alla classe dei neonicotinoidi. Secondo gli scienziati e i biologi questi insetticidi non metterebbero in pericolo solo le api, ma anche diverse classi di insetti importantissimi per gli ecosistemi.
L’aspetto più delicato è dato dal fatto che i neonicotinoidi furono introdotti come contraltare “sano” e “sicuro” del DDT. Essi derivano, come suggerisce il nome, dalla nicotina e si spruzzano direttamente sulle foglie, oppure nel suolo in modo da proteggere direttamente il seme. Saliti fin subito nel banco degli imputati i neonicotinoidi sono stati vietati a più riprese in Italia e nell’Unione Europea in quelle coltivazioni che attraggono le api, con una serie di proroghe che però non hanno mai trovato una forma definitiva. Ma questo non ha fermato le aziende, che producono nuove formule che non rientrano nei divieti.
La combinazione di più fattori pone un serio problema sul futuro delle api domestiche e di quelle selvatiche, entrambe in calo come numero, dal momento che comunque le api stesse partecipano al ciclo naturale, giocando un ruolo da protagonista nel meccanismo dell’impollinazione di determinate piante da frutto. Ne ha parlato persino il presidente Obama, ricordando questo ruolo giocato dalle api.
Secondo una ricerca di Science, il declino delle api è apparso vistoso solo negli ultimi anni, ma in realtà va avanti dagli anni ’70, al momento dell’introduzione di quella classe di pesticidi. Il numero delle api è conseguentemente crollato. Uno studio ha dimostrato per esempio che l’innalzamento delle temperature sta facendo salire di latitudine la fascia di coltivazione di alcune piante, ma il punto è che le api non sembrano occupare questi nuovi habitat, anzi, si starebbero sempre più rifugiando a sud, rimanendo nelle zone temperate. Il motivo è difficile da spiegare, ma secondo gli scienziati dipende dal fatto che non ci sono sufficienti api per popolare le nuove zone geografiche rese disponibili dai cambiamenti climatici, che peraltro non influiscono in maniera positiva.