UAV: dentro un fungo atomico

gli effetti della bomba atomica

Finita la seconda guerra mondiale, i droni vengono usati per studiare gli effetti delle esplosioni nucleari. E’ noto, infatti, che le conseguenze delle bombe atomiche non erano ancora note nel periodo in cui furono sganciate.

Esplosioni nucleari: si conoscevano davvero le conseguenze?

L’esperienza acquisita dagli Stati Uniti con le missioni guidate da remoto alle basi delle V1, tra fallimenti e successi, venne messa frutto un paio d’anni più tardi, a guerra finita, per verificare gli effetti delle esplosioni nucleari.

Nel 1946, infatti, l’America stava testando con intensità la nuova arma che aveva piegato definitivamente il Giappone, la bomba atomica, sganciata prima su Hiroshima, il 6 agosto 1945, e pochi giorni dopo su Nagasaki (il 9 agosto). All’epoca la scienza sapeva ancora pochissimo circa le conseguenze di un’esplosione nucleare.

Gli effetti distruttivi al suolo, degni di un’apocalisse biblica, erano ovviamente noti, ma non così quelli sull’ambiente circostante: estensione dell’onda d’urto verso l’atmosfera, potenza della stessa, dispersione di radioattività e così via erano ancora fattori da misurare. Solo che non era possibile farlo direttamente, inviando aerei con equipaggio a breve distanza dalla zona della deflagrazione. Nessuno aveva voglia di “assaggiare” un fungo atomico.

L’uso dei B17 per studiare l’atomica

Di nuovo, quindi, la soluzione poteva arrivare soltanto dall’impiego di velivoli privi d’equipaggio. E, di nuovo, le forze armate americane fecero ricorso ai grossi quadrimotori da bombardamento già impiegati a tale scopo durante la guerra. Otto B17 vennero perciò convertiti per essere pilotati da terra (il sistema di controllo radioguidato era montato su una Jeep) nelle fasi di decollo e atterraggio e, una volta in volo, controllati a distanza da
un altro B17. Questi droni furono impiegati per la raccolta di dati durante i test nucleari sull’atollo di Bikini (Isole Marshall, Oceano Pacifico), volando all’interno della nube radioattiva causata dalla prima esplosione (1 luglio 1946), poi nuovamente sopra la zona dell’esplosione subacquea del 25 luglio. L’uso dei droni per investigare gli effetti delle esplosioni atomiche proseguì nel corso degli anni, rivelandosi molto utile. Tra gli esempi, l’utilizzo di diversi jet militari Lockheed P-80 convertiti in droni per compiere rilevazioni durante gli esperimenti nucleari americani del 1951 nell’atollo di Enewetok, sempre nel Pacifico. In quest’ultimo caso, però, pare che le prestazioni degli Uav a reazione abbiano lasciato molto a desiderare.

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